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SOCIALTIM compra l’hashtag #Sanremo2017 su Twitter per sponsorizzarsi

​È stato molto discusso nelle ultime ore lo scandalo riguardante la società italiana TIM e il social network californiano Twitter.Questo avvenimento sembrerebbe riguardante l’acquisto di uno spazio pubblicitario da parte della compagnia telefonica nei confronti dell’hashtag #sanremo2017 in occasione della 67esima edizione del festival di Sanremo.
Negli ultimi mesi il social network Twitter sta perdendo colpi, questo anche a causa della nascita di molti altri siti web simili e delle migliorie di altri (come per esempio Facebook, Snapchat e Instagram) che ha portato gli utenti a spostarsi da un social network ad un altro. Sembra allora una scelta moralmente e politicamente corretta quella di vendere sponsor anche negli hashtag, una delle funzioni icone del social network dell’uccellino azzurro? Ebbene sì, o almeno, questo no per molte persone di rilievo nel nostro territorio.

Vedere infatti il logo della TIM accanto ad uno degli hashtag più cliccati e discussi nel territorio italiano porterebbe tutta la community a pensare: “Cosa c’entra la TIM con Sanremo?”. Stando al pensiero del deputato del PD Emanuele Fiano: “Non ci sarà più nessun limite allo strapotere dei social, abituiamoci. Tutti gli altri media risultano ormai datati, e quindi le aziende che fanno comunicazione, Rai, Tim ecc ecc giustamente si adeguano”, mentre secondo Ernesto Carbone: “Si augura per Tim che non sia un boomerang e si usi #sanremo17, così non esce il logo. Bisognerebbe avere più consapevolezza nel web. Spesso facciamo pubblicità, regaliamo i nostri dati inconsapevolmente. Non è solo un problema di norme, ma soprattutto culturale”.
Tratto da un articolo di Sandro Cariotti su sciax2

E’ finito il 2016, l’anno del tramonto dei media tradizionali

tratto da un articolo, pubblicato sul blog di B.Grillo, di Isabella Adinolfi, Efdd – Movimento 5 Stelle Europa

Il 2016 passerà alla storia come l’anno del definitivo tramonto del potere di influenza di stampa e tv. È rivelatrice lagaffe dell’inviata Rai Giovanna Botteri che, dopo la vittoria di Trump, si chiedeva quasi disperata: “che cosa succederà a noi giornalisti? Che cosa succederà alla stampa?”. Nessuno dei principali 100 quotidiani americani ha fatto un endorsement a Trump. Appoggiando Hillary Clinton i media americani hanno perso la faccia e anche la credibilità. Hanno raccontato un’America che non esiste. Non hanno capito nulla!

In Italia i media tradizionali non se la passano meglio. Il referendum del 4 dicembre è stato la Caporetto di editorialisti e parrucconi del giornalismo. Presagivano l’inferno e invece ha semplicemente trionfato la democrazia. L’affluenza al 69% ha mostrato al mondo chi comanda in Italia: i cittadini! Con i falsi scoop di Beatrice Di Maio e la continua drammatizzazione delle vicende romane si è toccato il fondo e i dati lo dimostrano. L’ultimo rapporto Mediobanca sull’editoria è senza appello: il giro d’affari complessivo di Mondadori, Rcs, L’Espresso, Il Sole 24 Ore, Monrif, Caltagirone, Itedi, Cairo e Class Editori è passato da 5,7 a 3,9 miliardi. Il fatturato di questi imperi dei media è calato del 32,6% e 4.500 posti di lavoro sono andati persi. Meno credibilità equivale a meno copie vendute: la diffusione dei quotidiani è scesa del 34% negli ultimi 5 anni.

Fiumi di inchiostro diventano carta straccia mentre il mondo va avanti con i social media. Per difendersi da questa inevitabile estinzione, i media tradizionali si arroccano nella Celebrazione del Potere. I continuirichiami dell’Agcom a Rai, Mediaset, Sky e La7 lo dimostrano. Ma oggi è impossibile competere con i nuovi media che sono più veloci, ironici e spesso completi. La politica dovrebbe occuparsi della necessità di alfabetizzazione ai nuovi media, risolvere problemi come il cyberbullismo e sul riconoscimento su cosa sia davvero propaganda e cosa informazione.

Davanti a questi numeri si dovrebbe fare ammenda e autocritica e invece si assiste alla caccia alle streghe che oggi prende il nome di “fake news”? Il Parlamento europeo ha approvato una vergognosa risoluzione che organizza una propaganda europea con i soldi dei contribuenti. Quello che viene chiamato “sostegno alla stampa indipendente” è in realtà una ingerenza per censurare le notizie scomode.

Scriveva Indro Montanelli nel 1989: “la deontologia professionale sta racchiusa in gran parte, se non per intero, in questa semplice parola: onestà. È una parola che non evita gli errori….Ma evita le distorsioni maliziose quando non addirittura malvagie, le furbe strumentalizzazioni, gli asservimenti e le discipline di fazione o di clan di partito”. Parole profetiche che oggi sono le campane a morto della stampa e tv che finora abbiamo conosciuto. Non sentiremo la loro mancanza.

Tratto dal blog M5s

La tregua di Natale guerra 15-18

Una storia incredibile, che non mi ricordo aver studiato…scoperta oggi leggendo un commento su un articolo di Facebook. Davvero da leggere.

Belgio, 24 dicembre 1914.
Nei pressi di Ypres, una piccola cittadina delle Fiandre, soldati francesi e tedeschi stanno tremando dal freddo nelle trincee. Sin da quando è iniziata la Grande Guerra, sono costretti a sopravvivere in questi angusti lembi di terra, con il pericolo imminente di un attacco nemico e senza potersi muovere, perché dalla trincea opposta – distante circa 40 metri – c’è sicuramente un cecchino pronto a spararti in testa non appena ti distrai. Soffrono fame, sete, freddo, malattie; conducono un’esistenza primordiale, senza lavarsi per settimane, dormendo in fosse o nicchie scavate nelle pareti delle trincee, circondati da grossi ratti, tormentati da pidocchi e pulci, nauseati dal fetore dei cadaveri di commilitoni e di cavalli in putrefazione e dalle esalazioni dei propri escrementi.
Confusione, promiscuità e lordura, connotati tipici dell’ambiente delle trincee e fattori di destabilizzazione dell’equilíbrio mentale. Questa è la situazione su quello che viene chiamato il fronte Occidentale, e non muterà fino al 1918.

Nel silenzio di quella notte gelida – quattro gradi sotto zero – un fuciliere del reggimento Essex, di nome Ernie Williams, ad un certo punto raccoglie il fucile da terra. Si è accorto di qualcosa. Giura di aver visto brillare una luce sulle trincee tedesche. «Mentre osservavo il campo ancora sognante», scriverà in una lettera indirizzata alla madre, «i miei occhi hanno colto un bagliore nell’oscurità. A quell’ora della notte una luce nella trincea nemica è una cosa così rara che ho iniziato a passare la voce ai miei compagni. Non avevo ancora finito che lungo tutta la linea tedesca è sbocciata una luce dopo l’altra». Quelle che il soldato scozzese ha visto sono fiamme, anzi fiammelle. Sono le fioche luci di tante candele disposte in fila sul parapetto della trincea. «Erano così vicino da farmi stringere forte il fucile – leggiamo nella lettera – e poi ho sentito una voce. Non si poteva confondere quell’accento, con il suo timbro roco. Ho teso le orecchie, rimanendo in ascolto, ed ecco arrivare lungo tutta la nostra linea un saluto mai sentito in questa guerra: “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”».

Un pallone per rivivere

Nonostante l’ovvia sorpresa, ciò di cui il fuciliere non si è accorto è che a guardare bene, infatti, quelle luci sono proprio le fiammelle di alcune candele di Natale. Sì, perché in Germania la vera festa di natale è il 24 dicembre. E così, non appena quasi tutta la trincea è illuminata, i tedeschi iniziano a cantare Stille Nacht. In molti, nella fazione opposta, ancora non credono ai propri occhi e alle proprie orecchie. L’unico ad aver capito quello che sta succedendo pare sia proprio Ernie, che un po’ timidamente inizia ad intonare anche lui la stessa canzone, che nella versione inglese sarebbe Silent Night. E così, quasi senza accorgersene, in tutte le trincee partono diversi canti – ciascuno il suo – finché si accordano a cantare insieme Adeste fideles, andando avanti per tutta la notte.

La mattina seguente, quella del 25 dicembre, accade un’altra cosa strana. Ernie Williams si apposta alla trincea, spia dall’altra parte e, non vedendo né sentendo nulla, urla: «Good morning, Fritz» – come chiamano i tedeschi. Ma non risponde nessuno. Così ci riprova e lo ripete un’altra volta, finché qualcuno anziché sparare risponde: «Guten Tag». Allora un altro inglese si fa coraggio e dice: «How are you?», e dall’altra trincea: «Bene, e tu?». Iniziano così dei reciproci inviti nelle opposte trincee, ma qualcuno fa notare che forse non è il caso di fidarsi visto che fino all’altro ieri si sono sparati addosso. Ma cinque di loro decidono comunque di incontrarsi a metà strada, in quella che viene chiamata la terra di nessuno. Prima di uscire, due inglesi si riempiono le tasche di sigarette, i tedeschi di pagnotte, poi saltano oltre il parapetto e si incontrano nel mezzo delle due trincee. «Buon Natale», poi si stringono la mano, si scambiano le sigarette e si mettono pure d’accordo: «Se voi non sparate, oggi, non spariamo neppure noi».

E succede. Per quel giorno nessuno spara e poi, senza quasi accorgersene, i soldati tirano giù i fucili, escono e cominciano a chiacchierare con i soldati nemici. Si scambiano pure dei piccoli regali: sigarette, whisky, birra e qualche fotografia.

«Era tutto così tranquillo che sembrava un sogno (…) non dimenticherò quello strano e unico giorno di Natale per niente al mondo. Notai un ufficiale tedesco, una specie di tenente credo, ed essendo io un po’ collezionista gli dissi che avevo perso la testa per alcuni dei bottoni della sua divisa. Presi la mia tronchesina e, con pochi abili colpi, tagliai un paio dei suoi bottoni e me li misi in tasca. Poi gli diedi due dei miei bottoni in cambio… Da ultimo vidi uno dei miei mitraglieri, che nella vita civile era una sorta di barbiere amatoriale, intento a tagliare i capelli innaturalmente lunghi di un docile tedesco, che rimase pazientemente inginocchiato a terra mentre la macchinetta si insinuava dietro il suo collo».

Poi, ad un certo punto, un soldato inglese o un tedesco, questo non si sa, esce dalla sua tana con in mano qualcosa di strano. Strano per la guerra, naturalmente. Ha in mano un pallone da calcio. Inizia così quella che prende il nome di “Partita di Natale”. Ma per fare una vera partita di calcio, però, lo sanno tutti, ci vuole un campo, – più o meno rettangolare – poi servono due porte – vanno bene anche pietre o maglioni acciambellati – e due squadre. E allora si può cominciare. Il bello del calcio è anche questo, che lo può giocare chiunque e dovunque. Quella che si sta giocando adesso, sul terreno di Ypres, non è una vera e propria partita – non ci sono né le porte né tantomeno le squadre -, è più che altro un gruppo confuso di soldati che si divertono tirando calci ad un pallone. Va avanti così, per circa una buona mezz’ora finché un tedesco tira una cannonata – nel senso calcistico del termine e non in quello militare – e il pallone va a piantarsi su un rotolo di filo spinato.

Partita finita. Vincono i tedeschi, per 3 a 2. E adesso che si fa?

Il fantasma della guerra

I soldati non lo sanno, o meglio: lo saprebbero, ma non osano e non possono dirlo. Per loro decidono i comandanti: è giunto il momento per tutti di tornare nelle proprie trincee. Sono lì per fare la guerra, mica per giocare a calcio. Come si vede anche nel film che racconta questa storia (Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia) un maggiore furioso, indignato per la tregua, ordina agli scozzesi di sparare ad un soldato tedesco che sta entrando nella terra di nessuno, di passaggio verso le linee francesi. I soldati, però, si rifiutano di ucciderlo. E come fai a sparare ad uno con cui hai appena bevuto una birra e giocato a calcio?

Ma le punizioni, per entrambe le truppe, non tardano ad arrivare. I francesi vengono spediti nell’inferno di Verdun, i tedeschi invece sul fronte Orientale, senza il permesso di vedere le loro famiglie. In Germania si tenta di gestire la fuga di notizie e di offuscare l’evento o quantomeno di minimizzarlo, e perlopiù molti giornali esprimono critiche nei confronti dei soldati partecipanti alla tregua. In Francia si risponde ristampando un precedente avviso del governo secondo cui fraternizzare con il nemico costituisce alto tradimento, e per cui incombe il rischio del plotone d’esecuzione. Ma le lamentele non arrivano solo dagli alti Comandi. Anche ad un soldato austriaco, da poco arruolato nelle truppe tedesche, la tregua di Natale non è piaciuta per niente. Anzi, scrive nel suo diario, se fosse stato per lui sarebbero partite subito le fucilate. È un soldato del 16° reggimento di fanteria bavarese, il suo nome è Adolf Hitler e in seguito avrà modo di esprimere pienamente le sue idee in proposito.

Paola Saulino:..faro’ pompini a chi voterà NO

“COME MADONNA NEGLI USA, FARÒ POM… A CHIUNQUE VOTI NO AL REFERENDUM”: LA PROPOSTA INDECENTE DELL’ATTRICE ITALIANA…screenshot_20161022-173349
Ora anche l’Italia ha la sua Madonna. E non stiamo parlando del campo musicale, dove la cantante americana resta l’indiscussa reginadel pop.
Quanto di quello della politica. Alcuni giorni fa, Louise Veronica Ciccone ha infatti promesso sesso orale gratuito a tutti coloro che, l’8 novembre, voteranno Hillary Clintoncome prossimo presidente degli Stati Uniti.

La notizia, ovviamente, ha fatto il giro del mondo. E ha evidentemente scatenato la fantasia di Paola Saulino, attrice italiana (anche se lei preferisce definirsi un’artista), che ha deciso di seguire le orme di Madonna

Anzi, prima si è offerta come “aiutante” della pop star (“Se Madonna non ce la fa l’aiuto io a fare i pompini a chi vota Clinton”). Poi ha deciso di rivolgersi agli elettori italiani.

Mossa pubblicitaria o promessa elettorale? Non resta che aspettare il 4 dicembre.

Fonte

10 dritte per farsi leggere sul web

..è bene ricordare che il successo di un pezzo non dipende mai soltanto dalla sua qualità. In maniera un po’ grossolana possiamo dire che il 50% del successo di un testo dipende dal titolo (in senso semiotico parliamo di testi scritti, audio-visivi e ipermediali) e nel caso di testi scritti molto dipende dal teaser, dal catenaccio, e dal lead. Il 30% dipende dalle strategie di growth hacking e quindi dall’applicazione dei principi SEO, dalla scelta dei tag, dal seeding efficace e dall’advertising. Solo il 20% dipende dal contenuto vero e proprio. Per aumentare il valore del contenuto quando si scrive il web è importante seguire queste poche, semplici regole.

  1. Evitare testi troppo lunghi (tranne quando scegliamo i longform, abbiamo tutti troppe cose da leggere e la competizione è durissima)
  2. Evitare le personalizzazioni (a meno che non si tratti di un’autorità nel settore, possono intervenire in fase di seeding o di diffusione)
  3. Verificare sempre le fonti (attenti ai pozzi avvelenati, copiare qualcosa di sbagliato rende ridicoli)
  4. Non esagerare coi dettagli (ma fornire sempre dei riferimenti credibili, meglio se da fonti primarie)
  5. Scovare e usare delle belle foto a corredo dei testi (verificando la liceità e cioè i diritti degli autori)
  6. Non inzeppare il testo di link (una media di 3/5 va bene)
  7. Ricordare che la metà del traffico è ormai su smartphone, il 20 su tablet e il 30 su pc (queste percentuali cambiano durante la giornata)
  8. Considerare che il tempo medio di lettura di un post online è variabile tra 1 e 3 minuti (ma dipende molto dalla piattaforma e dalla tipologia: news, short o long stories, inchieste)
  9. Immaginare un pubblico più vasto di quello a cui ci si rivolge (non conosceremo mai perfettamente il nostro pubblico e dobbiamo puntare sempre ad ampliarlo)
  10. Non essere ossessionati dal numero di like, fan e follower: non esiste nessuna proporzione diretta tra quei numeri e la quantità di quelli che vi leggono

tratto  da http://www.chefuturo.it/2016/08/scrivere-giornalismo-web/

WikiLeaks, “il Vaticano sa dell’esistenza degli alieni”. La rivelazione dell’ex astronauta Mitchell

Una mail del gennaio 2015 dell’ex membro dell’equipaggio dell’Apollo 14 è stata intercettata dai whistleblower. Il destinatario del messaggio era l’attuale direttore della campagna elettorale di Hillary Clinton, il cui staff però replica: l’associazione di Julian Assange “è manovrata dalla Russia che vuole far vincere Trump”
La rivelazione l’ha fatta EdgarMitchell, il sesto uomo a mettere piede sulla Luna. E avrebbe del clamoroso: il Vaticano è consapevoledell’esistenza di forme di intelligenzaextraterrestre. L’ex astronauta, morto nel febbraio 2016, lo ha affermato in una mail risalente algennaio 2015, e resa nota daWikiLeaks nelle scorse ore, insieme ad altri 2mila messaggi riservati.
La mail incriminata era stata inviata da Mitchell a John Podesta, l’attuale direttore della campagna elettorale diHillary Clinton. Mentre parlava di un imminente incontro, e degli argomenti che vi si sarebbero trattati, Mitchell scriveva al suo destinatario: “Il mio collega cattolico TerriMansfield ci… aggiornerà sullaconsapevolezza del Vaticanorispetto all’ETI”, ovvero le forme di intelligenza extraterrestre. Mitchell non è nuovo a dichiarazioni su questo argomento: sin dalla metà degli anni ’90, l’ex membro dell’equipaggio dell’Apollo 14 si era detto sicuro dell’esistenza degli UFO, anche in virtù di fonti militari che aveva potuto consultare.
La pubblicazione dell’ultima serie di messaggi riservati suscita polemiche nello staff di Hillary Clinton: in particolare, il coinvolgimento di John Podesta viene considerato un tentativo di screditare gli uomini di fiducia dell’ex first lady. Dalla direzione della campagna presidenziale della candidata democratica hanno replicato denunciando che alcuni agenti dell’intelligence russa stanno utilizzando WikiLeaks per “immischiarsi nelle nostre elezioni” e aiutare Donald Trump ad essere eletto alla Casa Bianca. Un portavoce è andato anche oltre, attaccando direttamente Julian Assange, affermando che lo scopo del fondatore di WikiLeaks è quello di“danneggiare” la Clinton.

Tratto da “Il Fatto Quotidiano” del 9/10/16

In un altro messaggio intercettato dai whistleblower, Mitchell avverte Podesta della probabilità che un nuovo conflitto scoppiare nello spazio. “Possiamo ragionevolmente ritenere – scrive l’ex astronauta – che siamo più vicini che mai ad una guerra nello spazio. La maggior parte dei satelliti che orbitano intorno alla Terra appartengono appartengono a Stati Uniti, Cina e Russia. E i recenti test di armi anti-satellite – prosegue Mitchell – non aiutano esattamente a rasserenare il clima di paura”.

La legge di Parkinson

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Perché facciamo tutto all’ultimo momento? La legge di Parkinson

Cyril Northcote Parkinson era uno storico inglese che lavorò per molti anni nel Servizio Civile Britannico. L’esperienza accumulata durante il suo lavoro gli permise di pubblicare, nel 1957, un libro intitolato “La legge di Parkinson”. In questo trattato formulò la sua famosa legge che, in realtà, non è una sola, ma varie.

Parkinson osservò con attenzione il modo in cui si sviluppava il lavoro alle dipendenze dello Stato. Dalla base della sua esperienza quotidiana, riuscì ad individuare alcuni modelli che gli permisero di postulare i suoi principi basilari. La Legge di Parkinson può essere riassunta in tre postulati fondamentali:

“Il lavoro si espande fino ad occupare tutto il tempo disponibile”“ Le spese aumentano fino a raggiungere le entrate”“Il tempo dedicato a qualsiasi tema in agenda è inversamente proporzionale alla sua importanza”

“Ami la vita? Se ami la vita, no sprecare il tempo, perché il tempo è il bene di cui è fatta la vita”

-Benjamin Franklin-

Dalla sua formulazione, i conoscitori del tema hanno verificato più volte la validità della legge di Parkinson. Allo stesso modo, è servita come guida per pensare a nuovi metodi di lavoro e di gestione del tempo, puntando all’efficienza.

La Legge di Parkinson e la gestione del tempo

La principale applicazione della Legge di Parkinson riguarda l’amministrazione del tempo. Il primo postulato indica: “Il lavoro si espande fino ad occupare tutto il tempo disponibile”. Questo vuol dire che se si ha un’ora per realizzare un’attività, si impiegherà un’ora per farla. Tuttavia, se si dispone di un mese, si impiegherà un mese.

La verità è che tutti i giorni siamo testimoni della validità di questa legge. Per esempio, quando gli studenti hanno a disposizione due o tre mesi per consegnare un lavoro e finiscono per farlo 24 ore prima della data di consegna oppure quando si deve terminare un’attività nel pomeriggio e si inizia qualche ora prima del termine fissato e in quel breve lasso di tempo si fa tutto.

Questo principio è relazionato con un altro postulato che Parkinson chiamò la “Legge di Dilazione”. Questa legge afferma che quando si dispone di tempo, si avrà sempre la tendenza a rimandare tutto quello da fare. Perché succede? Semplicemente perché il tempo è un concetto del tutto soggettivo. Dipende più dalla nostra percezione interna che dal vero trascorrere delle ore.

Parkinson notò anche che più tempo dedichiamo per realizzare un compito, più esso diventa complesso e più è difficile terminarlo. Se si ha la percezione di avere molto tempo davanti, ci soffermiamo più sui dettagli e tendiamo a tergiversare, cercando di trattare anche i minimi aspetti del lavoro. Viceversa, se abbiamo poco tempo, andiamo dritti al sodo, senza girare troppo intorno al tema.

Un male burocratico che tutti compiamo

Parkinson vide anche che i fattori meno importanti sono quelli che finiscono per occupare la maggior parte del tempo. Da qui il suo terzo postulato “Il tempo dedicato a qualsiasi tema in agenda è inversamente proporzionale alla sua importanza”.

A quanto sembra, i fatti rilevanti richiedono un atteggiamento serio ed esigono focus precisi. Per questo motivo, bisogna affrontarli con maggiore efficienza. Viceversa, i fatti triviali inducono tutti a prenderne parte e a dire qualsiasi cosa passi loro per la testa; per questo motivo, vi si dedica più tempo.

Anche se la Legge di Parkinson fu postulata dopo aver osservato la burocrazia, la verità è che si può applicare praticamente a tutti i campi. Non solo implica aspetti relazionati con la gestione del tempo, ma si estende anche ad altri ambiti della vita, come le spese o l’organizzazione degli spazi fisici.

Parkinson afferma che “ Le spese aumentano fino a raggiungere le entrate”. Questo vuol dire che non importa quanto si guadagni, si troverà sempre il modo di restare con il minimo e persino con qualche debito. Una persona può vivere con determinate entrate senza nessun problema. Se le sue entrate aumentano, non godrà di più soldi, ma organizzerà le sue finanze in modo da non mettere nulla da parte.

Il risultato di questi modelli di condotta è una grande inefficienza. Il tempo e i soldi non ci raggiungono mai. Tuttavia, se osserviamo bene, ciò si deve al modo errato in cui li amministriamo. Di fatto, l’articolo che state leggendo è stato scritto seguendo il consiglio di Parkinson: dividere il lavoro in sotto-compiti e stabilire un tempo limite per completarli. Il risultato: ho terminato nella metà del tempo che impiego di solito. Che ve ne pare? Volete provarlo?

Provinciale Casella – limite 40km/h

Da domani 19 settembre sui tratti esterni ai centri abitati delle Sp. 8, 10, 11, 12, 46, 47, 61, 63, 81 e 84. 

40-limite velocitàLa Città metropolitana di Genova istituisce da lunedì 19 settembre il limite massimo di velocità di 40 km/hlungo i seguenti tratti di strade provinciali correnti all’esterno di centri abitati:

sulla Sp. 8 di Vobbia all’esterno dei centri abitati dei comuni di Isola del Cantone e Vobbia, ovvero dal km 1,577 (fine del centro abitato di Isola del Cantone) al km 12,617 (fine della strada provinciale);
sulla Sp. 10 di Savignone all’esterno dei centri abitati del comune di Savignone, ovvero dal km 0,220 (fine del centro abitato di Ponte di Savignone) al km 6,060 (inizio del centro abitato di Sorrivi);
sulla Sp. 11 della Valbrevenna all’esterno dei centri abitati del comune di Valbrevenna, ovvero dal km 0,570 (fine del centro abitato di Casella) al km 5,787 (inizio del centro abitato di Molino Vecchio);
sulla Sp. 12 di Nenno all’esterno dei centri abitati dei comuni di Valbrevenna e Savignone, ovvero dal km 0 al km 5,009 (inizio del centro abitato di Crocefieschi);
sulla Sp. 46 di Montessoro all’esterno dei centri abitati del comune di Isola del Cantone, ovvero dal km 0,193 (fine del centro abitato di Isola del Cantone) al km 9,599 (fine della strada provinciale);
sulla Sp. 47 di N. S. della Vittoria all’esterno dei centri abitati dei comuni di Savignone e Mignanego, ovvero dal km 0,371 (fine del centro abitato di San Bartolomeo) al km 5,480 (inizio del centro abitato di Giovi);
sulla Sp. 61 di Vaccarezza all’esterno dei centri abitati dei comuni di Casella e Savignone, ovvero dal km 0,797 (fine del centro abitato di Casella) al km 2,796 (inizio del centro abitato di Vaccarezza);
sulla Sp. 63 delle Gabbie all’esterno dei centri abitati dei comuni di Savignone e Busalla, ovvero dal km 0,531 (fine del centro abitato di Aschiera) al km 3,091 (inizio del centro abitato di Busalla);
sulla Sp. 81 di San Fermo all’esterno dei centri abitati del comune di Vobbia, ovvero dal km 0 al km 9,347 (fine della strada provinciale);
sulla Sp. 84 di Montanesi all’esterno dei centri abitati del comune di Mignanego, ovvero dal km 0,450 (fine del centro abitato di Ponterosso) al km 4,046 (fine della strada provinciale).

Per quel che riguarda i tratti di strada provinciale compresi all’interno dei centri abitati, i comuni potranno emettere analoga ordinanza in coerenza con la presente.

Gli adulti indaco. Caratteristiche e aspetti

Oggi ho letto un articolo in rete che mi ha colpito molto e che riporto per intero corredato del link della fonte:

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Da 10/15 anni a questa parte, il termine “bambini indaco” sta ad indicare quei bambini che rappresentano uno stadio superiore dell’evoluzione umana. I sostenitori di tale ipotesi, sostengono che questa parte dell’evoluzione sia la protagonista di un progresso spirituale, etico e mentale, in atto. Una sorta di nuova “razza”, la cui missione è sfidare il sistema prestabilito.

«Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli indaco hanno iniziato a nascere, aumentando numericamente durante gli anni ’70 e ’80»,spiega la psicologa Esther Morales Leon. A questo punto, molti di questi giovani hanno raggiunto l’età adulta, ma molti di loro non sanno di appartenere a questo gruppo o hanno dei dubbi in proposito; pertanto, hanno anche, spesso, dei problemi a comprendersi e a gestire le proprie emozioni.

La dottoressa Morales Leon chiarisce che il compito delle “persone indaco” è quello di accettarsi, apprezzarsi e scoprire quale sia la propria missione nella vita, mettendo in moto tutti i talenti che hanno dalla nascita e il loro alto livello di consapevolezza. «Tutti questi elementi favoriscono l’evoluzione planetaria», sostiene la psicologa. Quali sono, dunque, le caratteristiche principali degli “adulti indaco”?

Gli adulti indaco si sentono diversi dagli altri

La personalità degli “indaco” è basata sull’alta sensibilità, sull’intelligenza e sulla creatività. Questi individui, dunque, adorano creare oggetti ed esperienze, sprigionando una forte empatia con l’ambiente che li circonda. Ciononostante, si sentono diversi dagli altri e fanno fatica ad adattarsi al modello di vita sociale imposto.

Risulta loro difficile capire i gesti altrui realizzati con riluttanza o con poco sforzo e non riescono a gestire l’ira e la rabbia che ne conseguono. Preferiscono lavorare da soli ed essere leader; sanno anche cooperare in gruppo, ma, anche in questo contesto, prediligono l’individualità.

Percepiscono più facilmente le bugie e la falsità

È chiaro che nessuno ama le bugie, per quanto piccole esse siano. Non ci fa piacere che altri stabiliscano ciò che dobbiamo e non dobbiamo sapere. Le persone “indaco”, tuttavia, avendo un senso della giustizia molto sviluppato, percepiscono questi aspetti – per loro sono insopportabili – in modo molto più netto e chiaro. Percepiscono anche sensazioni che altri non rilevano, pertantosono più intuitive, comprendono facilmente situazioni a loro estranee e ci mettono pochissimo a realizzare che qualcosa non torna.

Wendy Chapman, scrittrice statunitense di diversi libri legati a questo tema, ci dà qualche altro spunto grazie ai risultati delle sue ricerche: «Le persone indaco sono intelligenti, anche se non è detto che abbiano ricevuto i voti più alti. Hanno sempre bisogno di sapere il “perché” delle cose, soprattutto quando si chiede loro di fare qualcosa. Quando andavano a scuola, s’infastidivano e persino odiavano la maggior parte dei lavori ripetitivi che erano obbligati a fare».

Sono persone spirituali quando si tratta di migliorare il mondo e la loro interiorità

Sin dalla tenera età, le persone “indaco” possiedono una grande consapevolezza di se stesse, riuscendo così ad essere intuitive e a percepire molte più cose rispetto agli altri. Hanno una saggezza interiore innata e sviluppano il pensiero astratto fin dall’infanzia. Hanno anche una forte capacità di realizzare tutto ciò che sognano e che si propongono. Di conseguenza, hanno bisogno di essere attive per poter svolgere azioni che le aiutino a migliorare il mondo e a cambiarlo,anche se possono trovare degli ostacoli nella fase di identificazione del loro percorso.

La ricerca consapevole della felicità interiore, intesa come priorità quotidiana, è un segno distintivo delle persone altamente sensibili, capaci di comprendere la vita, come lo sono gli “indaco”. Capire il mondo attraverso la spiritualità, le sensazioni che ci regalano le persone che amiamo e i consigli di auto-aiuto sono elementi fondamentali nel quotidiano.

Vivono esperienze psichiche

C’è chi sostiene che gli “indaco” godano di abilità paranormali,come la telepatia, la capacità di leggere nel pensiero, l’empatia e un’accesa creatività. Il nome “indaco” deriva, invece, dalla credenza (confermata da chiaroveggenti) che questi possiedano un’aura della medesima tonalità. Quando parliamo di esperienze psichiche, facciamo riferimento alle premonizioni, alle esperienze extra-sensoriali e al “sentire le voci”. Sono in molti a credere che certe persone abbiano la capacità di entrare in connessione con altre dimensioni, di percepire l’energia attorno a sé, di creare visualizzazioni mentali, di sognare situazioni future e di avere amici immaginari.

Sono persone altamente sensibili

Le persone “indaco” hanno una personalità emotiva estremamente sensibile, esprimono i loro sentimenti alla prima occasione, oppure fanno l’esatto opposto, ovvero non mostrano neanche l’ombra di un’emozione. Sessualmente, sono molto espressivi oppure rifiutano la sessualità, per noia, o per voglia di raggiungere una connessione spirituale più elevata. Ricercano il significato della loro esistenza, la loro missione nella vita e la comprensione del mondo.

Ovviamente, gli indaco non si sentono tutti i giorni allo stesso modo e il motivo risiede nell’oscillazione del loro stato emotivo. A causa dell’alta sensibilità sviluppata, sia con le proprie emozioni sia con quelle altrui, le persone “indaco” possono fluttuare dalla felicità alla tristezza, fino alla disperazione più assoluta.

“Il corpo umano non è altro che apparenza ed esso nasconde la nostra realtà, la realtà dell’anima”. (Victor Hugo)
Rivisto da www.fisicaquantistica.it

Fonte: http://lamenteemeravigliosa.it/segnali-indicano-adulti-indaco/

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